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Good Vibes: le buone vibrazioni di Ladispoli
11:18
Monju e Randagio. Sono loro i Good Vibes, una band emergente tutta nostrana. Un incontro casuale e una passione comune. I brani originali, venticinque tracce all’attivo per loro, sono frutto di una commistione di generi (elettrorock, ragge, blues, dubstep, pop, pop-elettronico, house), l’elettrofantasy lo definisce Monju. Otto le canzoni del loro primo cd targato Miralook Hearts, “Sognando s’impara”: tutti i sogni, o meglio quelli che sembrano sogni, portano ad una sola conclusione.
Da veri e propri neo hippie, il loro messaggio è ben preciso: l’amore sopra ogni cosa. Ecco perché concludono i loro concerti invitando il pubblico a fare l’amore: solo così può partire la rivoluzione contro tv e media che offrono modelli schematizzanti; solo così possiamo capire che c’è un’ alternativa possibile.
Vogliono far conoscere le loro idee agli altri: “ognuno ha una missione su questo mondo, per svilupparlo e smettere di sfruttarlo – dicono – e le nostre idee non sono frutto di creatività, ma viaggiano nell’etere e devono essere diffuse”. Proprio perché la musica non è per se stessi, il palco diventa il proseguimento del proprio corpo, del proprio essere. E il rapporto con il pubblico, il contatto diretto, è una bella soddisfazione: il coinvolgimento in prima linea è fondamentale per capire il gradimento e se almeno un pezzetto di messaggio è arrivato.
Il loro brano simbolo è “Generazione Q”. Parla della generazione dei giovani di oggi e delle successive, “quelle che sono rimaste fregate dal ’68” – dice Randagio – “e vivono la vita come una Q”: è un cerchio che non porta niente... o forse sì? Una via di fuga c’è: può portare a niente, ma può portare anche all’infinito. L’importante è vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
E loro l’amore l’hanno trovato? Randagio si sbottona: “Un po’ come Bukowski, per me l’amore si trova per pigrizia, perché lo ricerchiamo vicino, nel nostro ambiente, ma magari non riusciremo mai a trovare la nostra anima gemella... chissà dov’è?”. E poi si lascia andare a pura filosofia: di come sarebbe bello vivere come gli animali, senza pensieri... hakuna matata! “Allora sì – ci confida – che non esisterebbe neanche la mafia, che è sostenuta dalla nostra omertà, dalla nostra paura di perdere quelle cose che ci rendono schiavi.
Ma perché Good Vibes? Buone vibrazioni perché – mi chiedono – è vero o no che durante l’intervista mi hanno fatto fare un sacco di risate? Ma anche perché loro sono anti-musica-triste e anti-musica-che-lobotomizza.
Quando gli chiedo a chi dedicano la loro prima grande fatica, Monju mi risponde: “Quale fatica? Daremmo la vita per vivere di musica. Dedichiamo il nostro primo lavoro a noi stessi. Solo se impariamo ad accettarci e ad amarci, siamo veramente capaci di amare il prossimo”.
Dopo avermi parlato delle loro collaborazioni, di “Pachamama”, inno alla Madre Terra frutto dell’incontro con Joe Intenso e Stone Cold, dell’avventura con Borz Elettroclown e con il rapper Pico (figlio di Enrico Ruggeri), della cover di “I love you Marianna” di Rino Gaetano elaborata con Manlio Calafrocampano, mi raccontano del progetto che si staglia all’orizzonte: la Miralook Hearts, in collaborazione con la Soleluna, distribuirà un tribute di Jovanotti targato Good Vibes.
E allora scatta la domanda. E i sogni nel cassetto? Loro nel cassetto non ce li vogliono tenere, sia mai che prendono muffa! Se li mettono nelle tasche del cappotto, ce li hanno sempre addosso, perché non sai mai quando ti capita l’occasione.
Potete acquistare i loro brani su ITunes e vi consigliamo di seguirli sulla loro pagina facebook. E se vorrete sentire quello che hanno da dire, potrete ascoltare le loro buone vibrazioni martedì 6 agosto al Malibù di Ladispoli. Azzurra Patriarca
Da veri e propri neo hippie, il loro messaggio è ben preciso: l’amore sopra ogni cosa. Ecco perché concludono i loro concerti invitando il pubblico a fare l’amore: solo così può partire la rivoluzione contro tv e media che offrono modelli schematizzanti; solo così possiamo capire che c’è un’ alternativa possibile.
Vogliono far conoscere le loro idee agli altri: “ognuno ha una missione su questo mondo, per svilupparlo e smettere di sfruttarlo – dicono – e le nostre idee non sono frutto di creatività, ma viaggiano nell’etere e devono essere diffuse”. Proprio perché la musica non è per se stessi, il palco diventa il proseguimento del proprio corpo, del proprio essere. E il rapporto con il pubblico, il contatto diretto, è una bella soddisfazione: il coinvolgimento in prima linea è fondamentale per capire il gradimento e se almeno un pezzetto di messaggio è arrivato.
Il loro brano simbolo è “Generazione Q”. Parla della generazione dei giovani di oggi e delle successive, “quelle che sono rimaste fregate dal ’68” – dice Randagio – “e vivono la vita come una Q”: è un cerchio che non porta niente... o forse sì? Una via di fuga c’è: può portare a niente, ma può portare anche all’infinito. L’importante è vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
E loro l’amore l’hanno trovato? Randagio si sbottona: “Un po’ come Bukowski, per me l’amore si trova per pigrizia, perché lo ricerchiamo vicino, nel nostro ambiente, ma magari non riusciremo mai a trovare la nostra anima gemella... chissà dov’è?”. E poi si lascia andare a pura filosofia: di come sarebbe bello vivere come gli animali, senza pensieri... hakuna matata! “Allora sì – ci confida – che non esisterebbe neanche la mafia, che è sostenuta dalla nostra omertà, dalla nostra paura di perdere quelle cose che ci rendono schiavi.
Ma perché Good Vibes? Buone vibrazioni perché – mi chiedono – è vero o no che durante l’intervista mi hanno fatto fare un sacco di risate? Ma anche perché loro sono anti-musica-triste e anti-musica-che-lobotomizza.
Quando gli chiedo a chi dedicano la loro prima grande fatica, Monju mi risponde: “Quale fatica? Daremmo la vita per vivere di musica. Dedichiamo il nostro primo lavoro a noi stessi. Solo se impariamo ad accettarci e ad amarci, siamo veramente capaci di amare il prossimo”.
Dopo avermi parlato delle loro collaborazioni, di “Pachamama”, inno alla Madre Terra frutto dell’incontro con Joe Intenso e Stone Cold, dell’avventura con Borz Elettroclown e con il rapper Pico (figlio di Enrico Ruggeri), della cover di “I love you Marianna” di Rino Gaetano elaborata con Manlio Calafrocampano, mi raccontano del progetto che si staglia all’orizzonte: la Miralook Hearts, in collaborazione con la Soleluna, distribuirà un tribute di Jovanotti targato Good Vibes.
E allora scatta la domanda. E i sogni nel cassetto? Loro nel cassetto non ce li vogliono tenere, sia mai che prendono muffa! Se li mettono nelle tasche del cappotto, ce li hanno sempre addosso, perché non sai mai quando ti capita l’occasione.
Potete acquistare i loro brani su ITunes e vi consigliamo di seguirli sulla loro pagina facebook. E se vorrete sentire quello che hanno da dire, potrete ascoltare le loro buone vibrazioni martedì 6 agosto al Malibù di Ladispoli. Azzurra Patriarca
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