Alessia e il suo dono di fede in Malawi
16:10Questo mese vi parliamo del cuore grande di Alessia D’Ippolito. Mentre scrivo, una manciata di ore la separa dal suo nuovo progetto di vita. Sì, perché si appresta a partire per il Malawi come missionaria fidei donum, per testimoniare il suo dono di fede. Dopo esserci stata quattro volte come volontaria del gruppo “Il Nostro Malawi” (spin-off del lavoro di Don Federico Tartaglia, missionario lì per 10 anni), questa volta torna nella missione di Santa Magdalena of Canossa per tre anni (almeno!), mandata dalla Diocesi di Porto-Santa Rufina per seguire la gestione di alcuni progetti: una sartoria, l’asilo, alcune strutture della parrocchia del villaggio, come l’ospedale e la fattoria, la scuola calcio, il sostegno ai ragazzi che vanno all’università e alle famiglie più bisognose (tra i bisognosi) del villaggio; dovrà controllare e formare dei responsabili malawiani per la gestione e l’amministrazione delle risorse per una conduzione appropriata di queste attività. Proprio nell’anno del Giubileo della Misericordia, Papa Francesco ha ricordato che la missione fa parte della grammatica della fede, è passione per Gesù e quindi per la gente. E se i suoi genitori non l’hanno presa benissimo ma, dopo vari tentativi di farle cambiare idea, si sono dovuti arrendere con il cuore pesante, c’è ancora chi stenta a capire il suo punto di vista, chi la considera matta, chi pensa si sia fatta suora… invece lei è “solo” una ragazza di trent’anni che in questo momento ha risposto ad una chiamata, consapevole che solo questa, oggi come oggi, può essere la sua strada. E ne è certa perché, se in un primo momento ha cercato di non ascoltarla questa chiamata, quando poi si è lasciata andare e ha risposto “Eccomi!”, si è scatenato un mondo di cose bellissime e di amore che le gira intorno. Dopo aver seguito il Vol.Est, percorso diocesano di formazione per i volontari estivi, dopo aver frequentato il corso per missionari del CUM, riesce a vedere da un altro punto di vista il compito che la attende: all’inizio la sua preoccupazione più grande era quella di raggiungere importanti risultati, voleva che i progetti andassero bene a tutti i costi, ora ha imparato che l’importante non è il fare ma lo stare, che sta andando con lo spirito della fratellanza per stare in mezzo alla gente e per provare a diventare “africana”. E allora tutte le cose che la preoccupano come la malaria per il suo esile corpo da azungu (bianca) e la solitudine (le festività lontano da famiglia e amici, la difficoltà di confronto e comunicazione) passano in secondo piano.
Certo che è disposta ad andare così lontano perché le mancano gli odori, i colori, i suoni e i sapori africani, il Malawi, il villaggio di pescatori sulle rive del grande lago, le coccole e le risate dei suoi bambini (d’altronde anche lei è vittima del famoso mal d’Africa). Eppure parte anche perché, dopo aver perso un po’ di quel sentimentalismo che caratterizzavano la Alessia del 2011, adesso è subentrata la voglia di vedere Dio nei più piccoli, negli ultimi, e il modo in cui la gente africana le riesce a far scorgere il volto di Dio è una cosa che la fa sentire a casa. A casa, sì. Dopotutto lei, all’Africa, le deve la vita: questa terra l’ha strappata ad una situazione difficile e le ha ribaltato la scala dei valori; è grazie all’Africa se oggi riesce ad apprezzare e a riconoscere l’importanza di un sorriso.
E il suo obiettivo è semplicemente quello di testimoniare che una vita vissuta per gli altri, nella carità e nella fratellanza, è l’unica vita che merita di essere vissuta. È grata di aver ricevuto un dono incommensurabile: essere l’esempio vivente che la vera follia è l’indifferenza e non l’amore. Azzurra Patriarca
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