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Prof come si dice church in inglese?
19:14
Intervista a quattro occhi con il prof/scrittore Simone Bulleri
In
questo numero vogliamo presentarvi Simone Bulleri, professore di filosofia, che
con il suo libro ‘Prof come si dice
church in inglese? Manuale di sopravvivenza al Liceo‘ ci racconta la sua
scuola con grande umorismo. Perché di fronte a certe uscite non ci resta che
“prenderla con filosofia”!
Parlaci un po’ di te…
Potrei
dire così: sono un uomo che ama il buonumore. Il mio sogno è sempre stato
quello di insegnare filosofia alle Superiori; merito di un professore alla
‘Attimo fuggente‘, incontrato durante l‘adolescenza, che mi ha mostrato la
bellezza e la libertà di questo mestiere. Oppure -less is best?- potrei
asciugare tutto così: ho 42 anni, sono toscano di origine e laziale d’adozione.
Come è nata l’idea di scrivere un libro?
Postavo
le mie avventure scolastiche da insegnante su fb, gli amici si divertivano, mi
hanno incoraggiato. Poi la mia compagna, Nicoletta, ha pazientemente radunato
tutto il materiale e un editore coraggioso, Sergio Tani della
Books&Company, ha realizzato il sogno lanciandosi nel progetto con lodevole
entusiasmo. Questo libro è volutamente umoristico. Credo infatti che, dove si
ride, lì nasca qualcosa di importante, una nuova consapevolezza.
Quali sono i temi affrontati?
Il
tema principe è quello del rapporto fra un adulto e gli adolescenti; sono un
giovane professore che incontra i cosiddetti Nativi digitali, cercando di
offrire loro i segni per orientarsi nel mondo delle Postverità e ricevendo, a sua
volta da loro, preziosi input per capire la ‘New generation‘. Gli adolescenti
di oggi sono meravigliosi, hanno solo bisogno di autenticità, di adulti che
credano in loro e di un po‘ di spazio. Non dimentichiamocelo mai, sono loro il
futuro di questo paese!
Cosa ti piace del tuo lavoro?
Soprattutto
lavorare in classe con i ragazzi sul pensiero dei grandi filosofi, riflettere
sulla storia e mostrare come l’uomo sostanzialmente sia lo stesso da sempre,
nonostante le protesi e gli apparecchi sempre più tecnicamente sviluppati.
Com’è il tuo rapporto con i ragazzi?
Per
non rischiare l’agiografia bisognerebbe chiederlo a loro. Quando ho iniziato
questo splendido mestiere ero un po’ fanatico, facevo lezioni molto frontali,
peccavo di facondia. Beata inesperienza. Col tempo ho imparato a sottrarmi e a
lasciare più spazio ai ragazzi, che devono essere sempre attivi durante la
lezione. Oggi interloquisco sempre più. C’è un proverbio turco che rappresenta
bene quello che penso attualmente dell‘insegnamento. Dice così: “Un buon
insegnante è come una candela – si consuma illuminando la strada per gli
altri”.
Qualche aneddoto particolare che vuoi
condividere con noi?
È
risaputo, a scuola ne succedono di cotte e di crude. Potrei raccontare di quel
colloquio con la madre di un alunno che se ne uscì con un: “Professore, d’altronde
mio figlio è ansiolitico”. Oppure di quell’alunno che, citando Pascal in un
compito, invece di scrivere ‘esprit de finesse‘ scrisse ‘esprit de fitness‘,
trasformando il celebre filosofo francese in un agguerrito personal trainer
della Costa azzurra. E via deliziando.
Altri progetti all’orizzonte?
I
progetti sono tanti, ma si sa: ars longa, vita brevis. A breve uscirà un mio
racconto noir, nella raccolta Lucenera, per i tipi di Sensoinverso. Tuttavia
l‘orizzonte più vicino è la promozione a tutto tondo di ‘Prof come si dice church in inglese? Manuale di sopravvivenza al Liceo‘,
acquistabile sul sito bookseditore.it.
Sogni nel cassetto?
Un
sogno molto concreto; e l’ha descritto bene qualcuno che adesso non ricordo (il
prof che non ricorda fa sempre molto ridere i ragazzi): “non vedo l’ora di
tornare in classe, il terreno solido dei banchi, il cielo di ardesia e gesso,
le pareti tappezzate di studenti e domande”. E me lo auguro perché poter fare
l’insegnante in questo paese oggi è diventato molto difficile, quasi
impossibile. Un’ultima cosa, ringrazio sinceramente ‘IlCurioso‘ per la gentile
attenzione accordatami. E… buona lettura a tutti!
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